Descrizione
“Giacometti ritornerà sovente sull’assillo della morte in quella parte dei suoi scritti che costituiscono, rispetto ai testi editi e agli entretiens, la parte più autentica della sua scrittura, ossia i Carnets, che vanno dal 1916 all’ottobre del 1965 con quella notazione finale, un foglio che pare costituire il suo testamento vergato sulla ultima pagina di una copia del libro di Françoise Sagan, La chamade, 1965: “tout cela n’est pas grand-chose, toute la peinture, sculpture, dessin, écriture ou plutôt littérature. Tout cela à sa place et pas plus. Les essais c’est tout. oh merveille!”. In un carnet del 1924 (in italiano, trascritto in francese nel 1933) Giacometti, seduto al Café du Dome a Montparnasse, annuncia i temi fissi della sua scrittura: “Sarò solo, ne sono quasi sicuro, come sono stato sempre da quando sono qui. E un nuovo giorno sarà finito. […] Tutto è talmente nascosto, impercettibile, ed è difficile comprendere chiaramente anche la più piccola cosa della natura, […] Quasi tutti, o proprio tutti, sono appesi, sospesi in un loro vuoto, i loro piedi non hanno alcun appoggio e il loro sguardo non ha meta. […] Ma vorrei un pugno di ferro che gravi, che gravi su tutte le spalle, su tutte le teste del genere umano, e le renda piccole, piccole, fino a dare l’impressione di un gregge di pecore, né più ne meno, che non ci siano più differenze tra uomo e uomo di quante ce ne sono tra pecora e pecora”. Nei Carnets affiorano dunque nello scorrere degli anni le idee, i temi, le riflessioni e i dubbi a volte angosciosi che assillano Giacometti e che troveranno poi svolgimento e soluzione nella sua scultura”. (dal risvolto di copertina)