Descrizione
Summary:
Ildebrando Clemente, La favola di Dio e del bottone
Lamberto Amistadi, Ornamento e gioco
Yehuda Safran, Adolf Loos: The Archimedean Point / The Curvature of the Spine: Kraus, Loos and Wittgenstein / The Thinking Reed: Arnold Schoenberg and Adolf Loos
Alberto Pérez-Gómez, The Boudoir. Fragment from An Alliterative Lexicon of Architectural Memories
“Ha scritto Adolf Loos: «Dio creò l’artista, l’artista crea l’epoca, l’epoca crea l’artigiano, l’artigiano crea il bottone». La domanda che questa divertente storiella pone alla nostra attenzione mi sembra possa essere riassunta in questi termini: in che modo e con quali aspettative, nel nostro presente, si posiziona, all’interno di questa catena di fatti, il fare dell’architetto? Oppure: in che modo, all’interno di questa catena di invenzioni e trasformazioni, si dispiega il destino del suo fare? Certo l’architetto, colui al quale secondo Loos «appartengono i muri della casa – e solo qui – egli può fare ciò che vuole», non compare esplicitamente in questa catena di eventi. Ma concediamoci, come suggerisce Loos, concediamoci per il momento che anche «l’architettura è pur sempre un’arte». In questa catena, come si può intuire, è in gioco il rapporto tra tecnica, forma e tempo. E su questo rapporto il fare dell’architetto fonda il proprio potere. Tecnica, forma, tempo e potere esprimono, per un’altro verso, un nesso di reciproca implicazione rispetto al sapere e al saper-fare. Questo nesso, lo sanno tutti, è ereditario. Nel suo aspetto essenziale questo è ciò che ribadisce anche la catena degli eventi elencati da Loos.
Su questa eredità, sul come comprenderla e trasformarla, Loos ha scritto pagine importanti. Ha costruito opere fondamentali, architetture straordinarie. Ha inventato un modo nuovo di percepire la materia e lo spazio. E ha mostrato soprattutto come, in questa catena di azioni che ci precede, affiori cruciale la domanda sulla forma. Perché la forma rappresenta, in qualche modo, la potenza del fare-pensare e del fare-realizzare che caratterizza la poiesis propria dell’architetto”. Ildebrando Clemente