Descrizione
Architetture di:
EINGARTNER KHORRAMI, MODERSOHN & FREIESLEBEN, NEUMEYER TREESE,
TOBIAS NOFER, RAHM STAUDE, CHRISTOPH TYRRA,
CARSTEN VOGEL, JUDITH & ULRICH VON EY
Certo che, nell’era della crisi mondiale, delle trasformazioni globali in atto nelle città, dei problemi pressanti sull’ambiente e la sostenibilità, si perda ancora tempo a occuparsi di colonne, pilastri, lesene o cornici potrebbe essere per molti impensabile, quasi un anacronistico ritorno all’indietro, estraneo ai reali problemi del momento. Ma allora perché parlare ancora di quei maestri sopra accennati, perché studiare gli edifici della storia o l’individualità delle nostre città? Perché non aspirare a un linguaggio comune, basato su materiali da sempre presenti in architettura, come la pietra, il mattone e il legno? Perché non ricercare i caratteri della durata e della solidità, piuttosto che quelli del provvisorio, dell’effimero, dell’immateriale?
Alla luce di queste domande, forse pedanti ma in fondo non così scontate, l’atteggiamento di questi giovani architetti sembra rispondere in senso affermativo. Nei casi migliori dimostrando un uso consapevole degli elementi storici, da alcuni impiegati in forme più semplificate, da altri in senso più figurativo, liberandoli da concettuali processi di riduzione o da vincoli puristi nati dalla geometria o dalla stereometria volumetrica. (…)
Non è questo una forma di storicismo ingenuo, quanto piuttosto generato da un attento ripensamento sui modi possibili, oggi, per potere utilizzare in maniera credibile, senza scadere nel gioco o nella citazione gratuita, il patrimonio di forme tramandatoci dalla storia. Abbandonato il gusto per la boutade, dimenticata l’ironia della stagione post-moderna, questi architetti lavorano sulla storia in maniera più seria e convincente, rendendola attuale e dimostrandone l’ambito di possibilità creative, che comunque persistono al suo interno, senza per questo abbandonare un atteggiamento di tipo analitico.
Michele Caja
Dopo la generazione dei “maestri” Josef Paul Kleihues e Oswald Mathias Ungers, che hanno raccolto l’eredità del moderno e l’hanno trasportata, attraverso l’esperienza degli anni Sessanta e Settanta, fino all’IBA, sono gli allievi, più o meno diretti, protagonisti della ricostruzione “critica”, ad aver consolidato con il proprio pensiero e la propria opera questo approccio positivo e concreto ai problemi dell’architettura e della città, senza paura di ricorrere alla storia come Vorbild, modello per la contemporaneità. È esemplare in questo senso la figura di Hans Kollhoff, che negli anni Novanta ha riportato alla discussione termini come “tettonica” e “solidità”, “convenzione” e “adeguatezza”, assunti come paradigmi di una nuova attitudine verso l’architettura, una attitudine fortemente “urbana”, dove la città è oggetto di architettura e i suoi elementi tradizionali, la strada, l’isolato, la piazza, la casa, ritrovano la loro forma e il loro significato.
Su questi esempi si sono formati i giovani, il cui lavoro, al di là di un esplicito riconoscimento di appartenenza ad una “scuola”, mostra, anche nelle scelte e nelle declinazioni più personali, un’adesione di fondo a quel principio di realtà che rappresenta, secondo me, il tratto distintivo della “neue Berliner Architektur”. Ho dunque provato a leggere i progetti dei giovani architetti qui pubblicati a partire da queste considerazioni, cercando di rintracciare, nella loro ricerca teorica e nelle loro opere, gli elementi di quello che si potrebbe definire, se non un nuovo realismo, certamente un “ritorno all’architettura della città”.
Silvia Malcovati