Lo spazio domestico nel moderno

22.00

Variazioni sulle forme storiche dell’abitare

Francesco Defilippis

Prefazione di Carlo Moccia

Pagine: 96. Formato 17×24 cm. Illustrazioni in b/n.

Data di pubblicazione: 2012

ISBN: 978-88-88149-98-1 Categorie: , Product ID: 1962

Descrizione

Il libro propone una riflessione sul ruolo della storia e della tradizione nell’opera dei maestri del moderno, condotta attraverso lo studio della forma di cinque case: la casa a Stennäs di Erik Gunnar Asplund, la Landhaus Khuner di Adolf Loos, la casa a Muuratsalo di Alvar Aalto, la casa Breuer I di Marcel Breuer e la Glass House di Philip Johnson. Superata la tesi ideologica secondo la quale il Movimento Moderno avrebbe rotto ogni legame con la storia, l’autore si pone l’obiettivo di offrire un contributo agli studi che hanno reso possibile tale superamento, assumendone il metodo di indagine basato sull’approccio tipologico. Il campo della ricerca è intenzionalmente limitato al tema dello spazio domestico riferito al tipo generale della casa isolata. Più degli altri, questo tema è costitutivamente legato alla tradizione poiché connotato da una relazione stabile e duratura tra le idee dell’abitare e le forme ad esse corrispondenti. Eletto come tema sperimentale per il suo valore etico e sociale, quello della casa finisce per diventare per i maestri del moderno il tema che rivela, in modi differenti rispetto alle diverse sensibilità personali, la maggiore continuità con la tradizione, la più interessante tensione verso la storia e i suoi paradigmi. Così le cinque case, indagate in chiave tipologica, manifestano la loro struttura sintattica e aprendosi al confronto “analogico” con gli esempi del passato che meglio corrispondono a quella struttura, fanno emergere i “riferimenti” assunti dai loro progettisti come paradigmi e rivelano le tecniche compositive utilizzate per operare le variazioni sulla loro intima struttura formale. Queste tecniche di variazione, a ciascuna delle quali corrisponde una delle cinque case, vanno dalla “trascrizione” all’“inversione”, cioè dalla conferma della struttura sintattica del paradigma alla sua trasformazione. Il loro riconoscimento, in quanto tecniche che attestano e descrivono la relazione tra la forma “tradizionale” e la nuova “forma”, ci permette di collocare la storia dell’architettura in una nuova prospettiva, superando lo sterile dualismo oppositivo tra negazione e imitazione. Una prospettiva nella quale la storia assume il valore di “pura potenzialità” e si converte in “vasto territorio di referenti”, dei quali può ancora nutrirsi il progetto contemporaneo.

Dalla prefazione di Carlo Moccia